mercoledì 18 dicembre 2013

L'arte del mugnaio




........ la farina doveva essere molto morbida al tatto: riempiendo il pugno di farina e stringendo leggermente, si doveva avere una sensazione simile a quella provocata dalla stretta di una manciata di neve.........




L'ingresso del Mulino Ripamonti
L'attività lavorativa vera e propria si svolgeva all'interno della "sala macchine" che ospitava in un unico locale l'incastellatura in legno (ancora ben conservata nel Mulino Ripamonti) nella quale prendeva posto l'impianto molitorio e tutte le attrezzature accessorie comprese quelle assai importanti per la manutenzione periodica delle pesanti macine circolari in pietra.
Il macchinario non era ingombrante e molto dello spazio era destinato al deposito dei sacchi delle granaglie e del macinato.
Il mugnaio attraverso una scaletta raggiungeva la tramoggia (piramide rovescia in legno di castagno posta sopra le macine) con il sacco di grano sulle spalle e lo versava. Qui vi era un dosatore che in relazione delle vibrazioni subite regolava la discesa del grano tra le macine.
Il grano una volta entrato tra le due macine, subiva la prima rottura per sfregamento contro la mola dormiente (quella inferiore) nella parte centrale delle "ruote" di pietra e poi, verso la circonferenza esterna veniva finemente macinato.
La scala che porta alla saracinesca
Per ottenere farine ottimali, c’erano mole adatte per il grano e altre per il granturco. Queste differivano nelle scanalature che erano tracciate su di esse, rendendole più adatte al tipo di cereale.
I solchi, che si trovavano tracciati come tanti raggi radiali su un lato della pietra, erano ottenuti per battitura, operazione che periodicamente il mugnaio doveva fare con un particolare martello, in modo da ottenere dalla mola un prodotto farinoso e costantemente omogeneo. Compito del mugnaio era anche quello di regolare la portata dell'acqua lungo il canale, la roggia, tramite saracinesche e portelli che permettevano di variare l'afflusso d'acqua alla ruota a secondo della necessità.

Saracinesca















Tassati e tartassati 

Tassa sul macinato (1° gennaio 1869)

Queste “naturali” incombenze non erano poi così drammatiche per il mugnaio, che sapeva dover annoverare nel suo lavoro. Ma ciò che per secoli fece “dannare” questa categoria di lavoratori sono stati gli agenti delle tasse. La tassa sul macinato è forse stato uno dei balzelli più odiosi che si poteva trovare e si è sempre fatto di tutto per poterla evadere. Era una tassa che affamava gli affamati. Una tassa che portò a uccisioni, ribellioni, vendette e disperazioni. Gli Archivi dei Tribunali sono pieni di carte al riguardo e aprono uno squarcio su di un mondo per noi inimmaginabile, fatto di miserie, arroganze e prepotenze. L’apice delle tensioni si sfiorò dopo l’unità d’Italia, quando con un sistema che contava il numero dei giri della mola, divenne impossibile, poter evadere la tassa sul macinato. Molti mugnai cercarono di manomettere il contatore in tutte la maniere e altri sfidarono la legge rompendolo sistematicamente. Era certamente un atteggiamento di rivolta, di ribellione per una legge che ritenevano ingiusta, anche se non gravava su di loro. Infatti a pagare erano i clienti e il mugnaio era il tramite con cui veniva riscossa la tassa.


La ruota ricostruita nel 2013

  

 Il Santo Patrono dei Mugnai

Sant’Antonio Abate
Protettore delle attività agricole e dei Mugnai è Sant’Antonio Abate festeggiato il 17 gennaio.
Sant’Antonio Abate viene chiamato anche Sant’Antonio del Porcello perchè raffigurato con un maialino ai suoi piedi.
Nell’alimentazione contadina antica il maiale costituiva, insieme al pollame, la principale fonte di proteine animali.
Per assicurare una migliore conservazione delle carni da lavorare, la macellazione del maiale avveniva nel periodo più freddo dell’anno, tra dicembre e gennaio. Del maiale non si sprecava nulla: le setole erano utilizzate per fabbricare pennelli, gli ossi venivano bolliti e la cotica entrava nella preparazione di zamponi e cotechini. La pelle, una volta tolto il lardo (unico condimento adoperato per tutto l’anno), serviva per ungere le seghe. Col sangue si faceva il sanguinaccio e con i polmoni una specialità di salsicce più povere




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